A future as black as coal - Asturia, Spagna


Per conoscere un luogo non si può prescindere dalla gente che lo abita. La regione delle Asturie, nella Spagna settentrionale, incastonata tra la Cantabria e la Galizia, è nell'immaginario collettivo la 'miniera' di Spagna.

Da Madrid la strada sale fino a un passo di montagna, le prime ciminiere in lontananza sono le mute sentinelle di un mondo a parte. 
Il carbone è nell'aria, nelle rughe dei volti dei minatori e delle loro famiglie.

Anche in quelle di Vicente Gutierrez Solis, 75 anni ben portati, autentica memoria storica della regione e del suo rapporto con le miniere di carbone. Ma Vicente non ha una storia comune, lui è la memoria storica di una terra fiera, dove le lotte operarie erano lette per sopravvivere. 
   ''E' difficile indicare un singolo evento per spiegare la formazione di una coscienza politica: i momenti, le immagini sono tante'', racconta Vicente, accogliendo gli ospiti in un ufficio spartano, ma che sulle pareti ha immagini che raccontano la storia di un secolo. ''Nella mia terra le repressioni del regime di Franco furono molto dure. L'immagine delle persone trascinate nel cuarterillo (il comando locale della Guardia Civil) per essere interrogate, anche di fronte al minimo sospetto, oppure la storia dell'uomo che sarebbe diventato mio suocero: ucciso in circostanze misteriose, dopo la Guerra Civile, il cui corpo non è mai più stato ritrovato dalla famiglia. Oppure le tante malattie e la povertà che pativa la mia gente. Insomma, i fattori sono tanti, ma hanno prodotto un unico risultato: l'impellenza di dare un contributo, di partecipare, di fare qualcosa per coloro che soffrivano'', racconta Vicente, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

   Nato nel 1933, Vicente aveva appena un anno quando le Asturie furono teatro di quella che viene chiamata la ‘Rivoluzione dell’Ottobre del 1934’. Le forze della sinistra socialista, anarchica e comunista insorsero per l’entrata nel governo della CEDA (Confederacion Espagnola de Derechas Autonomas), partito politico di destra profascista. In prima fila, c’erano i minatori. Tra loro, come mostra orgoglioso Vicente, anche Dolores Ibarruri, la mitica ‘pasionaria’, figlia e moglie di minatori.  
In pochi giorni presero il controllo di Oviedo e proclamarono la “comuna asturiana”. Da Madrid venne mandato il generale Franco a sedare la rivolta a modo suo: migliaia di vittime e 30mila arresti.

La repressione non rese gli asturiani più malleabili. In questo clima Vicente cresce e, mentre sfoglia un album di foto che sembra un cammino nella storia contemporanea della sua terra, racconta.

   “Ho cominciato a lavorare a 16 anni e, come tutti qui, nell’ambiente delle miniere. Anche mio padre lo faceva; lui era maniscalco, ferrava i muli che portavano fuori il carbone estratto. Tutti qui orbitavano attorno alle miniere, arrotondando un salario da fame con l’agricoltura, per sfamare i figli. Una vita d’inferno: non c’era acqua per lavarsi dopo il turno di lavoro e questo costringeva i lavoratori a tenersi addosso il nero del carbone per molte ore , fino al ritorno a casa. Anche per questo si diffuse la silicosi, una malattia delle vie respiratorie, aggravate dalla scarsa alimentazione.

Nonostante questo i giovani continuavano ad arrivare da tutta la Spagna’’.

Oggi le condizioni sono molto differenti. Ma fa un certo effetto salire dentro uno degli ascensori di acciaio che, con un grande sferragliare che le voci dei minatori cha scambiano quattro chiacchiere prima del turno (sette ore e quindici minuti). I minatori continuano ad arrivare, ma i figli dei minatori di ieri, grazie ai sacrifici dei loro padri e delle loro madri, hanno studiato e lavorano. Accanto ai tanti spagnoli, nei cunicoli della miniera ci sono operai specializzati che arrivano dalla Repubblica Ceca, dall’Ungheria e dalla Polonia.  Le condizioni di sicurezza sono molto differenti dai tempi di Vicente, ma mentre si cammina per le gallerie il tempo è come sospeso. Solo la luce del baschetto illumina i passi, che si fanno privi di gravità, come se si galleggiasse. I minatori sono gente temprata, che ride e scherza, anche mentre si muove nelle viscere della terra, a più di 500 metri di profondità. “Dai fotografo, io scatto e tu scavi”, ironizzano, con gli occhi intensi che segnati dalla polvere di carbone ricordano quelli del Sandokan della fantasia di ciascuno di noi.

Alle doccie poi, che adesso ci sono, si scarica la tensione del lavoro, oggi fatto anche da alcune donne. In risalita si torna alla luce, all’aria. Una piccola statua della Madonna, vicino a un carrello da miniera, rende l’idea della vita di questa gente, affidata alla speranza di non fare la fine del topo.

   Oggi i partiti della sinistra antagonista sono in calo, ma non è sempre stato così. “Entrai nel Partito Comunista spagnolo nel 1955”, racconta Vicente, “erano anni di scioperi e mobilitazioni sindacali. Il regime franchista reagiva con deportazioni e arresti. Io stesso, nel 1960, venni arrestato sul posto di lavoro. Uscì dopo dieci mesi, ma il padrone non volle più riassumermi, perché ero un militante comunista. Da quel momento passai a occuparmi di politica a tempo pieno”. Erano anni di grandi passioni, di rivendicazioni salariali e per il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Il culmine del movimento sindacale dei minatori si ebbe nel 1962, quando il processo avviato venti anni prima conobbe il suo apice.

“Fu il punto finale di una presa di coscienza collettiva. Uomini e donne sullo stesso piano. Prima, dell’instaurazione del franchismo, le rappresentanze sindacali in miniera non erano altro che emanazioni della proprietà, mentre il Partito Comunista mirava a formare e rendere operativi sindacalisti indipendenti.”, racconta Vicente. “Lo sciopero partì dal pozzo di San Nicolas, nell’aprile del 1962. Riunioni clandestine e mezzi scarsi di propaganda aiutavano la fantasia: per i giorni di sciopero si preparavano dei grandi sacchi di granoturco, da gettare in terra per strada e nei posti di lavoro. Si dava delle ‘galline’ ai crumiri. Certo, quando entravi in un negozio e compravi tanto granoturco il rischio di essere scoperti era grande”, racconta Vicente con una risata sonora. “Ottenemmo un minimo aumento salariale, ma le cose non andavano bene e tornammo in piazza ad agosto del 1962. Fummo arrestati in tanti e alcuni di noi, me compreso, furono mandati al confino. Io nel villaggio di Soria’’.

Ma in fin dei conti, si protestava più contro lo sfruttamento dei minatori o contro il regime di Franco? “Entrambe le cose: chi scioperava aveva coscienza politica e si batteva per i suoi diritti, ma anche per la libertà’’. In questo c’è una vecchia tensione tra gli asturiani e i vicini baschi. Due popoli fieri, della loro lingua e della loro autonomia, ma con un rapporto differente con Madrid. “Si ricordi che il re di Spagna, prima ancora che essere re, è principe delle Asturie!”, scherza un minatore, al quale fa eco un collega che rispetto ai baschi butta là la sua teoria: “Mentre noi combattevamo Franco e ci facevamo arrestare, deportare e uccidere, dov’erano i baschi?”.

   Campanilismi a parte, arrivò la transizione democratica. Che accadde al mondo dei minatori?

Oggi come oggi le Asturie riprendono un ruolo importante nel mercato globale delle fonti di energia. Hunosa (Hulleras del Norte), azienda statale che gestisce le miniere ancora in funzione, si trova per le mani la ‘riserva’ di carbone europea, che funge un minimo da tutela contro il prezzo impazzito del greggio, il gas algerino e quello russo.  Non solo: dalla miniera di Belmonte (già utilizzata ai tempi di Plinio il Vecchio) nel 1998 si è cominciato a estrarre oro.  Ma i dubbi sul futuro di questa regione, così legata all’estrazione del carbone,  restano tanti.

“La riconversione del settore minerario era già iniziata negli anni Sessanta, ma la crisi sarebbe sopraggiunta solo più tardi. La crisi, piano piano, vide anche lo scollamento della base dei minatori con il Partito Comunista. E noi non vediamo riconosciuto il nostro contributo alla fine del franchismo” dice Vicente. E oggi com’è la situazione? “Credo che si sia perso troppo tempo per risolvere il problema della riconversione economica delle Asturie, per sganciare la vita della regione dalle miniere. Adesso è difficile e i giovani se ne vanno ancora lontano, perché non hanno più interesse a restare qua. Si lavora allo studio di risorse alternative, ma bisogna tener presente la storia e l’identità di questa regione. Fosse anche solo per rispetto dei tanti sforzi e del tanto sangue versato per ottenere condizioni di lavoro dignitose”. 

                                                                                                                     Cristian Elia

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